Uno stile inconfondibile, una carriera che spazia tra moda, pubblicità, reportage, ritratti.
La fotografia di Toni Thorimbert è unica: intensa e diretta, capace di catturare l’essenza e la personalità dei suoi soggetti senza troppi fronzoli. Oggi ci ha accolti nel suo studio e ci ha raccontato un po’ di lui.

Cosa ti ispira?
Ogni gesto di altruismo disinteressato.
Chi è il tuo maestro?
Lao Tse, ma non lo ascolto quasi mai.

Qual è stata la tua prima macchina fotografica?
Una scatola da scarpe con un forellino.
Una foto a cui sei molto legato e che ti definisce?
1973, avevo 17 anni. Scattai a Pioltello il ritratto di un bambino di strada che considero il mio “alter ego”.

Perché la scelta del bianco e nero?
Bhe, non sempre, non comunque. Però, certo, meno sbatti, più astratto.
Come coniughi la tua passione per i cavalli e il motociclismo?
Montare a cavallo ti apre alla relazione con “l’altro da te”, (piuttosto utile nella fotografia di ritratto, tra l’altro), correre in moto ti fa capire chi sei e quali sono i tuoi limiti. Per davvero però, non così, tanto per dire.

A quanti anni hai scattato la tua prima foto e hai deciso di farne il tuo lavoro?
A 17 anni. Faccio il conto: 51 anni fa.
Preferisci il giorno o la notte?
Oggi, il giorno, una volta la notte, mai la mattina.

Quali sono i luoghi dove passi il tempo a Milano?
Studio – casa – casa -studio – casa – studio – studio – casa. Poi fuggo in campagna.
Dove andresti con il cavallo a Milano?
Onestamente, da nessuna parte, ma se proprio devo, una galoppata ventre a terra da una porta all’altra di San Siro.



